LEGA SALVINI PREMIER – LEGA LOMBARDA SEZ. MEDA

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VOGLIA DI STATUTO SPECIALE IN 545 COMUNI DEL NORD

venerdì, novembre 26th, 2010

Tre esempi che illustrano il problema nello specifico. Per comprare la prima casa: in Lombardia una giovane coppia chiede il mutuo e paga il 100% più gli interessi; se in Trentino paga solo il 55% del mutuo a tasso zero perché il 45% del mutuo e gli interessi glieli regala la Provincia. Per realizzare un capannone: un’azienda lombarda paga il 100%; un’azienda trentina paga solo il 40% perché il 60% glielo regala la Provincia. Scuola materna: nei piccoli Comuni lombardi la retta mensile è pari a 75 euro; nei piccoli Comuni trentini è pari a zero euro.

Qualche numero per inquadrare il fenomeno nelle sue linee generali: lo Stato aveva finanziato il Fondo di solidarietà per le aree disagiate e depresse con una dotazione triennale di 91 milioni di euro; nell’ultima versione della finanziaria i soldi di quel fondo si riducono del 70% e diventano 22 milioni. Per i Comuni del Nord, per lo più montani, che confinano con le Regioni a statuto speciale e con le Province autonome si tratta di un colpo durissimo. Che anticipa altri tagli inevitabili, come quelli che si aspettano i Comuni della montagna veneta, dato che la loro Regione concentrerà giustamente nella pianura colpita dall’ultima alluvione gli investimenti per la manutenzione del territorio. E già adesso: un Comune lombardo di 4.000 abitanti, ha un bilancio di circa 6 milioni; un Comune trentino con lo stesso numero di abitanti ha un bilancio di 24 milioni.

In sintesi, lo Stato taglia e la conseguenza è che i cittadini emigrano dove i tagli si fanno sentire di meno o per niente, dove il welfare funziona ancora bene. Ovvero nelle Regioni a statuto speciale e nelle Province autonome. I piemontesi in Val d’Aosta, i lombardi in Alto Adige e in Trentino e i veneti anche in Friuli-Venezia Giulia. E la conclusione di tutto questo è che i sindaci si sono decisi a «seguire» i cittadini, nel senso che non potendo spostare i Comuni intendono spostare i confini.

Dopodomani si ritrovano a Milano i rappresentanti di 545 Comuni confinanti con Trentino, Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia e Val d’Aosta, che in totale hanno circa due milioni di abitanti e sono pronti al referendum per chiedere la «secessione» da Piemonte, Lombardia e Veneto. I paesi direttamente confinanti, indicati nella cartina, sono 109.

«Sono già dieci i Comuni che chiedono ufficialmente il referendum di secessione e altri dieci Comuni li seguiranno entro un mese se non ci saranno risposte», avverte il vulcanico presidente dell’Associazione dei Comuni di confine con le Regioni e le Province autonome e dei Comuni frontalieri con la Svizzera (Asscomiconf) Marco Scalvini, a lungo sindaco di Bagolino, patria di quello straordinario formaggio che è il bagoss e del carnevale rinascimentale dei balarì e dei maschér. Ma anche Comune della Provincia di Brescia che guarda con grande invidia al limitrofo Comune di Storo, che si trova nella Provincia autonoma di Trento.

Per Scalvini, che tiene a sottolineare l’appartenenza al centrodestra sua e dell’80% dei sindaci di confine, quei venti municipi rappresentano una avanguardia dei «545 paesi che subiscono ogni anno l’esodo inarrestabile delle giovani coppie, delle aziende e delle intelligenze verso le ricche Regioni a statuto speciale e le Province autonome».

Si accalora Scalvini: «Da loro si pagano meno tasse e hai stipendi più alti con servizi sociali e pubblici garantiti e gratuiti. Di la c’è l’America e di qua l’Argentina. A noi rimane solo l’onere di chiudere asili, biblioteche e scuole, di vedere il lento invecchiamento delle nostre genti e la fuga delle partite Iva. A Bagolino in sette anni ne sono state chiuse 174, lo stesso numero di quelle riapparse nella vicina Storo». E ancora: «Siamo stufi di vincere la serie B e non poterci iscrivere alla serie A. Il taglio del Fondo di solidarietà è ingiusto: ciascuno deve concorrere alle esigenze della comunità in proporzione alle proprie capacità.

Ecco allora che «se lo Stato non ci considera, noi ce ne andiamo» minaccia il segretario generale dell’Asscomiconf, Nicola Adriano. «Intanto – spiega -, dieci Comuni piemontesi, lombardi e veneti il 25 novembre iniziano l’iter referendario previsto dalla legge e altri dieci il mese successivo e così via. In breve tempo, modificheremo tutti i confini di tutte le Regioni del Nord e dovranno rifare tutte le cartine geografiche e riscrivere i testi di scuola».

da www.ilgiornale.it

RIFIUTI: IL NORD DICE NO

giovedì, novembre 25th, 2010

No. Punto. Se fosse stato un telegramma, questo sarebbe stato il testo che le regioni del Nord avrebbero spedito al governo che chiedeva chi era disposto ad accogliere i rifiuti della Campania. Lombardia, Veneto, Liguria e Piemonte si sono dichiarati non disponibili. Tra le altre regioni le Marche hanno detto no, mentre la Sardegna ha offerto uomini e mezzi ma ha spiegato che i rifiuti non possono essere smaltiti nell’isola. Il gruppo della Lega Nord nel Consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia ha chiesto che «la Regione si dichiari indisponibile». Solo la Toscana ha confermato la propria disponibilità ad accogliere una parte dei rifiuti campani. La Lombardia per esempio ha risposto spiegando che «prima si aspetta una convocazione da parte del governo per comunicare le risorse aggiuntive che intende destinare alle Regioni, dopo i tagli della finanziaria di luglio». Fino ad allora, la Regione non intende partecipare nemmeno al tavolo governativo di discussione e «si conferma non disponibile ad accogliere i rifiuti campani». «Vedo che alcune regioni del Nord, a prescindere dalla discussione, hanno detto no e questo è un fatto molto triste», ha detto il presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti. Il Lazio invece si è detto disponbile, ma la presidente Renata Polverini ha spiegato che la disponibilità può essere «simbolica o più consistente a seconda degli approfondimenti tecnici».

BOSSI – Senza giri di parole, il leader della Lega Nord, Umberto Bossi, ha spiegato i motivi del no ai rifiuti: «Se li portano al Nord, la gente si incazza. Speriamo che altre Regioni dicano di sì, ma il rischio è che dovunque li porti crei “casini”». Poi ha chiesto un intervento della magistratura contro Rosa Russo Iervolino, sindaco di Napoli: «Mi chiedo perché la magistratura non intervenga sul sindaco di Napoli. L’unico che può dire qualcosa è Berlusconi perché ha dimostrato di saperci fare».

IERVOLINO – Pronta la replica del sindaco Iervolino: «Per quanto mi riguarda, ho le mani strapulite e la coscienza stra-a-posto. Forse Bossi dovrebbe dire per la violazione di quale norma e per quale reato». Nel decreto sui rifiuti all’esame del presidente della Repubblica «per quanto riguarda l’emergenza Napoli, per quello che sappiamo noi, non c’è proprio niente», spiega Iervolino. «Ci sono cose che saranno sufficienti in futuro come la regolarizzazione del procedimento per i termovalorizzatori e il potere al presidente della Regione».

ERRANI – Per il presidente della Conferenza delle Regioni, Vasco Errani, la situazione è grave: «Così non si può andare avanti, siamo di fronte a un’emergenza a cui deve fare fronte l’intero Paese. Ma ci devono essere due condizioni, che abbiamo chiesto al governo: la prima è la dichiarazione dello stato d’emergenza e la seconda è che il governo, con un atto coerente e fermo, chieda un impegno e una collaborazione a tutte le Regioni».

FAMIGLIA CRISTIANA – Sul tema rifiuti è intervenuta anche Famiglia cristiana con un editoriale. «La monnezza è la spietata metafora del Paese», dice il settimanale dei Paolini. «Non serve scaricare o rinfacciarsi le colpe. Le responsabilità non possono rimbalzare da una parte all’altra. Solo una presa di coscienza collettiva potrà far uscire Napoli e l’Italia dall’emergenza. Solo un soprassalto di dignità civica potrà sanare guai ambientali e d’immagine del Paese». A Famiglia cristiana ha replicato il ministro per l’Attuazione del programma, Gianfranco Rotondi, che accusa il settimanale di «uscire dal cristianesimo». «Niente è meno cristiano di accostare l’immondizia alla metafora dell’Italia».

SALUTE: FAZIO, «NESSUN RISCHIO» – Per il ministro per la Salute Ferruccio Fazio, a proposito del problema rifiuti a Napoli, martedì aveva detto che «rischi immediati per la salute non ce ne sono».

da www.corriere.it

BOSSI: ROVESCIAMO IL TAVOLO

giovedì, novembre 4th, 2010

IL CONSIGLIO di Bossi a Berlusconi: «Se quelli di Futuro e libertà ti danno l’appoggio esterno, è il momento di far saltare il banco». Basta indugi, basta pensare di resistere arroccato come certi leader democristiani d’antan: meglio staccare la spina che vivacchiare attaccati a un respiratore artificiale. «Tanto sarebbe il presidente della Camera, in quel caso, a rimetterci la faccia». E così, si otterrebbe il massimo risultato con il minimo sforzo, è il ragionamento leghista: il cerino acceso resterebbe a Fini, che si assumerebbe la responsabilità di portare l’Italia alle urne. Proprio per questo, a Palazzo Grazioli — scenario anomalo per il settimanale faccia a faccia fra il Senatùr e il premier — si rinsalda l’asse fra i due alleati sulla promessa che comunque vada a finire «non ci deve essere nessun governo tecnico».

LA PARTITA è iniziata e si rinvia la palla nel campo avversario: ecco dunque i capigruppo leghisti Bricolo e Reguzzoni (presenti all’incontro) assicurare in una nota ufficiale «si è deciso di andare avanti con l’azione di governo per realizzare i 5 punti delle riforme presentati in Parlamento». A cominciare dal federalismo… Parole che fanno il paio con quelle pronunciate dal Cavaliere a metà mattinata a Milano: «Il governo ha la maggioranza e andremo avanti fino alla fine della legislatura. La cosa più negativa e grave sarebbe affrontare una campagna elettorale in cui tutti si batterebbero con la massima ferocia e i cittadini avrebbero ragione a non recarsi a votare». A meno che, ovviamente, qualche bastian contrario (leggi Fini) decida di mettere i bastoni fra le ruote domenica. Con somma gioia del Senatùr che non vede l’ora di andare a votare: i sondaggi prevedono un bel bottino di voti al Nord.

da www.qn.quotidiano.net

LE RAGIONI DEL PARTITO DEL SUD

martedì, novembre 2nd, 2010

DI LUCA RICOLFI

 

È passata relativamente in sordina, sui grandi quotidiani di ieri, la notizia della nascita di Forza del Sud, un nuovo partito che aspira a rappresentare la Sicilia ma anche a propagarsi e replicarsi nelle altre regioni del Mezzogiorno: potenzialmente una Lega Sud, una copia speculare della Lega Nord di Umberto Bossi. Il fondatore del partito, Gianfranco Miccichè, è anche membro dell’attuale governo, ed è il politico che nel 2001 regalò a Forza Italia la vittoria per 61 collegi a zero in Sicilia.

È possibile che l’esperimento fallisca, o serva soltanto al suo promotore a diventare governatore della Sicilia, quando nell’isola si tornerà a votare per eleggere l’Assemblea Regionale. Così dicono i nemici e i maligni. Però secondo me faremmo male a sottovalutare l’evento, sia sul piano strettamente politico sia sul piano più ampiamente culturale.

Sul piano politico, a dispetto dello sconcerto di alcuni uomini vicini al premier, che hanno visto l’iniziativa di Miccichè come un tradimento, Forza del Sud potrebbe rivelarsi l’asso nella manica del centro-destra alle prossime elezioni, la carta che scongiura lo scenario più temibile per Berlusconi.

Che Pdl e Lega si ripresentino alleati, senza tuttavia l’appoggio delle due componenti meridionaliste del centro-destra, ossia l’Udc di Casini e Futuro e libertà di Fini. Un’eventualità che toglierebbe credibilità al centro-destra nelle regioni meridionali, e che potrebbe sfociare in una catastrofe elettorale per Bossi e Berlusconi nel caso la rappresentanza del Mezzogiorno venisse monopolizzata dagli altri due probabili poli elettorali, ossia l’alleanza di sinistra Pd-Sel-Idv (Bersani-Vendola-Di Pietro) e l’alleanza di centro Udc-Fli-Api-Mpa (Casini-Fini-Rutelli-Lombardo). In questo scenario Pdl e Lega farebbero il pieno dei voti nel Nord ma perderebbero il Mezzogiorno, perché il Pdl non può presentarsi al Sud alleato con la Lega e al tempo stesso privo di una credibile gamba meridionale. Di qui l’utilità potenziale del partito di Miccichè per il centro-destra, e la sua pericolosità per il Terzo Polo e, indirettamente, per la sinistra stessa, attualmente impegnata in Sicilia in uno spettacolare esperimento trasformistico (governare con le forze anti-berlusconiane del centro-destra). Se Forza del Sud (Fds) crescesse in Sicilia e si espandesse in altre regioni meridionali, potrebbe fornire a Berlusconi la copertura di cui ha bisogno se desidera mantenere l’alleanza con la Lega e non sparire dal Sud. E la simpatia con cui alcuni illustri esponenti del governo, per esempio Stefania Prestigiacomo e Mara Carfagna (entrambe della Fondazione Liberamente), hanno guardato alla nascita di Forza del Sud fa pensare che l’ipotesi di un tridente Pdl-Lega-Fds alle prossime elezioni non sia del tutto campata per aria.

Ma non è tutto. Il partito di Miccichè andrebbe seguito con attenzione anche perché, a mio parere, alcuni tasselli della sua analisi dei problemi del Mezzogiorno non sono infondati. E più in generale perché, al di là di quello che Miccichè ha detto l’altro ieri a Palermo, è la cultura del Mezzogiorno in quanto tale, con le sue istanze e le sue analisi, che meriterebbe di essere presa più sul serio di quanto solitamente facciamo, specie qui al Nord. Ho passato un paio di anni a documentare il disastro delle regioni meridionali, e il processo di vera e propria spoliazione che il Nord subisce ogni anno da parte del resto d’Italia, ivi compreso il Mezzogiorno. Sono in tutto 50 (cinquanta) miliardi che ogni anno lasciano il Nord per foraggiare il resto del Paese. L’ho ribadito più volte, e l’ho documentato in un libro recente (Il sacco del Nord). E tuttavia questo fatto macroscopico, che riguarda la spesa corrente e a cui si dovrà prima o poi porre qualche rimedio, non deve farci dimenticare altri fatti, altrettanto importanti se si vogliono affrontare i problemi del Mezzogiorno in modo costruttivo, e soprattutto con spirito equanime, senza forzature campanilistiche.

Il primo fatto è che, per una parte della storia d’Italia, il vittimismo delle popolazioni meridionali è sostanzialmente giustificato. È vero, ad esempio, che buona parte del divario Nord-Sud non esisteva al momento dell’Unità d’Italia ma si è prodotto nei primi 90 anni, dal 1861 al 1951: così rivelano le ricostruzioni più recenti degli storici dell’economia. Quanto alla seconda parte della nostra storia, dalla fine della Seconda guerra mondiale a oggi, è vero che la Cassa per il Mezzogiorno prima e la «Nuova programmazione» poi hanno invertito la tendenza, nonché largamente (e spesso malamente) risarcito il Mezzogiorno, ma è anche vero che negli ultimi anni, mentre la spesa pubblica corrente continuava a favorire il Sud, quella in conto capitale (che finanzia gli investimenti e le infrastrutture) lo ha invece gravemente penalizzato.

Il secondo fatto su cui riflettere riguarda la struttura degli squilibri territoriali, che contrappongono le regioni del Nord a quelle del Sud. Qui, contrariamente a quanto venti anni di propaganda anti-meridionale hanno indotto a credere, lo squilibrio fondamentale non consiste nella quantità di risorse pubbliche che affluiscono alle regioni meridionali, alcune delle quali sono anzi addirittura sotto-finanziate (così come, simmetricamente, al Nord sono sovra-finanziate tutte e tre le regioni a statuto speciale). I due squilibri fondamentali da rimuovere sono piuttosto l’evasione fiscale e lo spreco di risorse pubbliche, quest’ultimo sia sotto forma di sussidi indebiti (falsi invalidi, imprese fantasma, finti corsi di formazione), sia sotto forma di pessimi servizi pubblici, una delle più potenti cause di povertà ed emarginazione.

Ma c’è un ultimo ordine di fatti su cui vorrei attirare l’attenzione, perché ne sono stato testimone diretto parlando con politici, amministratori e comuni cittadini del Mezzogiorno. Il Mezzogiorno non è tutto uguale, e soprattutto non è fermo. Esistono anche realtà ben amministrate (persino nelle regioni di mafia), ma soprattutto c’è una parte della classe dirigente meridionale che si rende perfettamente conto che i soldi sono finiti, che non si può andare avanti come in passato, e che il fallimento delle politiche per il Mezzogiorno è prima di tutto responsabilità del Mezzogiorno stesso, dei suoi politici, imprenditori, comuni cittadini. Questo pezzo di Sud non rifiuta affatto la sfida della Lega, il suo invito al buon governo e al rispetto delle leggi, ma pretende che anche lo Stato centrale torni a fare la sua parte, ad esempio sbloccando gli investimenti in infrastrutture. Una buona politica economica nel Mezzogiorno dovrebbe partire proprio da questi due pilastri: più e non meno rigore sulla spesa corrente, scommesse più generose in conto capitale, a partire dallo sblocco dei fondi europei.

Non so se Forza del Sud saprà essere tutto questo, un partito consapevole della forza del Mezzogiorno ma anche delle sue responsabilità e delle sue ragioni. Ancor meno so se un tale partito darebbe più fastidio all’attuale destra o all’attuale sinistra. Ma so che non saremmo in pochi, al Nord come nel resto del Paese, a guardarlo con simpatia e con speranza.

da www.lastampa.it

FINI PUNGE LA LEGA

martedì, ottobre 12th, 2010

Un colpo al cerchio (il federalismo è «una scelta irrinunciabile»), un colpo alla botte (no alle «piccole patrie preunitarie» e all’evocazione di «inesistenti identità padane»).

Da Palermo, dove venerdì ha benedetto il governo Lombardo quater nato dalla neo-alleanza Pd-Udc-Fli, ieri l’instancabile Gianfranco Fini è salito all’altro capo della penisola, in Val d’Aosta. E dai piedi del Monte Bianco il presidente della Camera ha aperto alla «svolta federalista», come la chiamano dalla Lega, ma stando ben attento a piantare i suoi paletti di difensore dell’unità d’Italia e di paladino della «solidarietà» verso le regioni meno sviluppate del Mezzogiorno, quelle che secondo le analisi demoscopiche costituirebbero il potenziale serbatoio elettorale di una destra finiana. «I forti divari tra Nord e Sud – ammonisce Fini – non possono giustificare differenze di trattamento nella fruizione di servizi essenziali, come ad esempio la tutela della salute». Niente «competizione» tra regioni efficienti e ricche e regioni sprecone e povere, dice Fini: il federalismo deve essere «solidale», e là dove le entrate fiscali non riescono a pagare «i livelli essenziali di sanità, assistenza e istruzione» deve intervenire lo Stato per «garantire l’integrale copertura».

L’attuazione del federalismo fiscale è uno dei punti di quel programma di governo che Futuro e Libertà si è impegnata a difendere lealmente, e dunque Fini non se ne smarca: «La scelta di un modello federale è obbligata e irreversibile, perché adottata dalla stragrande maggioranza degli stati di grandi dimensioni». Ma i distinguo dalle parole d’ordine del Carroccio sono chiari e netti, conditi da una punta di sarcasmo: «Alla base della crescente popolarità che il termine federalismo incontra – spiega il presidente della Camera – non vi è un nostalgico guardare indietro alle piccole patrie pre-unitarie, e neanche il fascino per una inesistente identità padana», bensì la diffusa «insoddisfazione per il cattivo funzionamento dello Stato centralista».

La replica della Lega non si fa attendere, ma è tutt’altro che bellicosa: «Negare l’identità padana – si limita a ribattere Roberto Calderoli – è come dire che la terra è piatta». Un dato di fatto indiscutibile, insomma, che non sarà certo Fini a smentire. Il ministro per la Semplificazione preferisce piuttosto andare sul concreto, e accogliere la disponibilità finiana a collaborare all’attuazione del federalismo fiscale: «La prossima settimana vedrò il presidente della Camera – annuncia – per portargli gli ultimi decreti e presentargliene il contenuto: il rilancio della legislatura ci sarà proprio grazie al federalismo». Pragmaticamente concentrati sull’obiettivo, i leghisti preferiscono ignorare anche la difesa dei «diritti fondamentali degli immigrati irregolari» fatta da Gianfranco Fini, che ieri ha rilanciato la questione della cittadinanza, «non tanto come status, ma come appartenenza a una comunità dove le persone vivono, lavorano e studiano».

Un Fini che, paradossalmente, scavalca a sinistra Walter Veltroni, che invece sul tema immigrazione scopre una vocazione anti-buonista: proprio ieri, alla conferenza programmatica Pd di Busto Arsizio, è stato approvato all’unanimità l’ordine del giorno presentato dall’ex leader, che chiede una «selezione degli ingressi» in Italia. «Venire qui è un’opportunità, non un diritto», e dunque gli aspiranti immigrati vanno ammessi secondo una sorta di punteggio. Bersani (pressato dagli amministratori del Nord che tifavano per la proposta veltroniana) ha benedetto l’ingresso «selettivo»: «La questione non è essere buonisti o no, è essere razionali». Applausi (ironici) dal Pdl: «Se avessimo usato noi la parola “selettività” ci avrebbero dato del dottor Mengele – dice Maurizio Gasparri – ma ben venga il riconoscimento degli errori passati del Pd».

BERSANI,CONTRO LA LEGA,SI APPROPRIA DEL FEDERALISMO

lunedì, ottobre 11th, 2010

Prendiamola in mano noi questa bandiera del federalismo, ma nella nostra chiave. Il segretario generale del Pd, Pier Luigi Bersani, sfida la Lega proprio sul fronte del federalismo.

Abbiamo una diversa idea di federalismo – ha detto Bersani nel suo intervento allassemblea nazionale del Pd – una via piu efficiente e razionale per arrivare alla conquista di livelli comuni per i servzi essenziali. Tremonti e Calderoli propongono il federalismo per raddrizzare una pianta storta, io dico che serve ma per avere nuovi obiettivi.

Da Bersani anche unanalisi sul fenomeno Lega Nord e sulle ambizioni del Carroccio per il dopo-Berlscuoni: Lasse Lega-Pdl sta attraversando una fase critica, con la Lega che fa da sottovaso alle perdite del vaso berlusconiano e resta attaccata allo zio sperando di portarne via leredita, senza avere badanti di mezzo. Ma adesso che ce Fini, per il Carroccio e un problema. La Lega, ha continuato Bersani, si e impossessata di un modello ideologico e populistico e ha preso in ostaggio il Nord attraverso unideologia, non attraverso un interesse politico. Ma il risultato finale, secondo il segretario del Pd, e tuttaltro che positivo: Questo meccanismo politico Berlusconi-Bossi ha giudato il ripegamento, non lavanzamento dellItalia e del Nord.

Bersani ha infine rilanciato la necessita di puntare sul Mezzogiorno: Lunita non puo esistere se dal Sud non arriva un progetto di rinnovamento dei progetti e della classe dirigente. Abbiamo sotto minaccia una serie di amminstratori locali campani, sono tutti del Pd, non possiamo lasciarli soli.

Da www.asca.it

ECCOLO, IL FEDERALISMO

venerdì, ottobre 8th, 2010

da varie agenzie

Con il decreto legislativo approvato oggi dal Consiglio dei ministri ”il processo del federalismo e’ quasi finito”. Lo ha sottolineato il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, nella conferenza stampa a Via XX Settembre.

Quello che e’ stato portato oggi in Cdm, ha ricordato Tremonti, e’ l’ultimo decreto di attuazione della delega sul federalismo fiscale. Saranno necessari ulteriori passaggi, in Parlamento e nella Conferenza unificata, ma ”oggi abbiamo chiuso la fase fondamentale di definizione dei testi”. Il tutto e’ evvenuto ”con una scelta di consenso con i partiti politici e gli Enti locali”. Il responsabile dell’Economia ha ribadito che ”il federalismo unisce e non divide” e che serve a ”raddrizzare l’albero storto della finanza italiana”, che cosi’ come e’ oggi, in cui tutto e’ centralizzato, ”ha prodotto solo debito pubblico”.

“Dopo i decreti attuativi su federalismo demaniale e il fisco municipale, dal Consiglio dei ministri e’ arrivata un’altra bella notizia per le Regioni e in particolare per la Lombardia: il via libera all’attuazione del federalismo fiscale delle Regioni e delle Province, cosi’ come il passaggio sui costi standard della sanita’, dimostrano che la riforma federale di questo Stato non e’ mai passata in secondo piano”. Cosi’ Davide Boni, presidente del Consiglio della Regione Lombardia, interviene in merito al via libera da parte del Consiglio dei Ministri del decreto legislativo sul federalismo fiscale per le Regioni.

“Un’accelerazione necessaria, perche’ -sottolinea- questo Paese necessita da troppo tempo di un cambiamento radicale che metta le Regioni nelle condizioni di amministrare le proprie risorse e nel contempo di dare un taglio netto agli sprechi, evitando che il risanamento dei conti in rosso nella sanita’ di alcune Regioni del Sud passi continuamente per le casse degli enti piu’ virtuosi”.

Per Boni “La Lombardia non potra’ quindi che trarre benefici tangibili da una riforma che consentira’ di investire, a beneficio dei propri cittadini, le risorse che resteranno sul territorio e che premiera’ quindi quegli amministratori che hanno sempre operato per il bene pubblico”.

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Sembra quindi arrivato il tanto agognato federalismo…voi che ne pensate? Porterà realmente benefici oppure non è ancora quello che la Lega Nord chiede?

ZAIA SU FLI

venerdì, ottobre 1st, 2010

da www.asca.it

”Spero che Futuro e Liberta’ non si candidi ad essere il partito del Sud in contrapposizione alla Lega Nord, altrimenti questa avventura durera’ poco”. Lo dice ai microfoni di CNRmedia il Presidente del Veneto Luca Zaia. Che aggiunge: ”dobbiamo rispondere con coerenza al mandato che ci e’ stato dato dai cittadini con un grande consenso. Il parlamento sara’ galantuomo e banco di prova per questa maggioranza. Questo Governo ha i numeri, come ha detto Bossi la strada e’ stretta, ma la maggioranza c’e’. Ora bisogna monitorare fino in fondo il processo del federalismo.

Il federalismo, come ha detto Napolitano, non e’ una scelta ma una necessita’. E Futuro e Liberta’ non puo’ fare ostruzionismo. Il federalismo e’ l’unica via per togliere il paese dal pantano. E’ l’unica via d’uscita. Come diceva Don Sturzo nel ’49 ‘sono unitario ma federalista impenitente’. E voglio ricordare che Sturzo, tra le altre cose, era un siciliano…” conclude Zaia.

LA CAPITALE DEL NORD

sabato, settembre 18th, 2010

Bossi: ora voglio Capitale del Nord
Dopo status speciale per Roma

Ora ci vuole quella del Nord. Il leader della Lega, Umberto Bossi, commenta cosi lapprovazione del decreto su Roma Capitale in Consiglio dei ministri. La battuta del leader leghista non e piaciuta ai finiani. Fabio Granata, deputato di Fli: Quando Bossi dice che ora ci vuole la Capitale del Nord, si tratta allo stesso tempo di Storia e Geografia creativa.

Bossi, scherzosamente, spiega perche la Lega abbia appoggiato il provvedimento. Lo abbiamo votato solo perche il sindaco Alemanno e venuto piangendo, ha sottolineato il ministro facendo riferimento alla presenza del sindaco di Roma a Palazzo Chigi dopo la firma del decreto.

Finiani contro leader leghista
E polemica tra il leader della Lega e i finiani. Attacca Fabio Granata: Cosi come la Padania non esiste, Roma e lunica Capitale dItalia. La sua e Geografia creativa.

La Capitale del Nord? La lingua batte dove il dente duole. La secessione e nel Dna della Lega e chi lo nega e in malafede. Bossi ed i suoi uomini non perdono occasione di ricordarcelo. Lo afferma Alessandro Pignatiello, coordinatore della segreteria nazionale del PdCI. I suoi colleghi di governo – aggiunge – diranno che e una battuta, faranno finta di niente e sminuiranno il tutto. Ce da chiedersi fino a che punto e tollerabile che un partito del governo nazionale continui a prendersi gioco delle istituzioni e della Repubblica unica e indivisibile cosi come fa la Lega Nord.

ORA I MINISTERI AL NORD

mercoledì, giugno 30th, 2010

Non possiamo solo pagare e non avere niente, dobbiamo anche contare e il fine ultimo è portare un ministero a Milano, quello delle Finanze. E poi quello dell’Industria a Torino e per esempio quello del Turismo a Venezia». Dopo Pontida, Umberto Bossi torna a puntellare il suo nuovo obiettivo: si chiama, in gergo tecnico, “capitale reticolare”, ma per il Senatur il trasferimento dei centri di potere deve andare in una sola direzione, verso il Nord.

Ancora in mezzo alla bufera del caso Brancher, che tanto ha indignato su siti e media, il popolo leghista, il leader del Carroccio cerca di deviare l’attenzione e di riportarla su temi più in sintonia con gli umori della sua base. Così torna a issare la bandiera della Padania e di un’eventuale secessione con la «forza»: «Noi siamo destinati a veder nascere la Padania – arringa nel corso di un’intervista ad affaritaliani.it –, non c’è santo che tenga. La Padania sta a noi se farla in maniera pacifica o violenta: io preferisco la via pacifica, perché per l’altra via c’è sempre tempo a utilizzarla. Noi vogliamo che la gente capisca che bisogna cambiare per dare ai nostri figli un sistema migliore di quello romanocentrico».

Intanto il neoministro Aldo Brancher – sotto il tiro delle opposizioni, che ne chiedono in coro le dimissioni – fa sapere di non avere alcuna intenzione di lasciare l’incarico. «Ribadisco il mio parere assolutamente fermo contro la richiesta di dimissioni», ha ripetuto ieri tornando a difendere il proprio operato: «La vicenda è stata strumentalizzata – ha argomentato -. Non so chi ha sbagliato, ma chi ci ha marciato mi sembra evidente. Avevo chiesto già tre volte un rinvio dell’udienza per i miei impegni da sottosegretario e questa era un’ulteriore richiesta. Non ho preso in giro nessuno». I suoi legali fanno inoltre sapere che lunedì prossimo presenteranno ai giudici la formale rinuncia al legittimo impedimento. Non è invece ancora chiaro se il ministro si presenterà lo stesso giorno nell’aula del tribunale.

A complicare la storia, già controversa, di questa nomina è poi la ricostruzione della sua genesi. È lo stesso Brancher a rimandare i giornalisti a un’intervista concessa ieri dal ministro Calderoli al Corriere della sera. In sintesi, il ministro leghista racconta che «per Bossi l’opzione principale» era Brancher alle Politiche agricole e Galan allo Sviluppo economico. «Ma questa ipotesi non si è realizzata per problemi di equilibri interni al Pdl – spiega Calderoli –. A quel punto si è parlato di ministro senza portafoglio». Tanto basta per far esplodere gli esponenti di opposizione: «È la dimostrazione che la nomina di Brancher prescinde dalle reali necessità del governo». «È una truffa istituzionale, da questa situazione si può uscire solo con le dimissioni di Brancher da ministro» tira le conclusioni il vicesegretario del Pd Enrico Letta. Mentre il capogruppo di Idv, Massimo Donadi, rilancia la proposta di una mozione di sfiducia unitaria delle opposizioni. Con la postilla che Idv ne presenterà comunque una in caso di mancato accordo. È però qui che il coro delle opposizioni diventa un insieme di voci discordanti. L’Udc Michele Vietti non scioglie le riserve: i centristi sono infatti restii a un’iniziativa parlamentare assieme a Di Pietro. E lo stesso Pd, nonostante Franceschini e Donadi si siano trovati d’accordo sull’idea di presentare un documento comune, esita: «Dobbiamo evitare – osserva il vicecapogruppo Alessandro Maran – che la vicenda Brancher finisca per rafforzare il centro-destra e per indebolire il centro-sinistra, con una sua divisione». Oggi si riuniranno i gruppi di opposizione per la decisione. Quanto a incarico e deleghe ancora mancanti, Brancher scarica la colpa su Palazzo Chigi: fa parte delle competenze della presidenza del Consiglio – spiega -. Le deleghe diventano ufficiali e definitive quando vengono pubblicate sulla Gazzetta ufficiale: non sono certo io che devo pubblicare questa cosa».