LEGA SALVINI PREMIER – LEGA LOMBARDA SEZ. MEDA

Posts Tagged ‘miccicchè’

LE RAGIONI DEL PARTITO DEL SUD

martedì, novembre 2nd, 2010

DI LUCA RICOLFI

 

È passata relativamente in sordina, sui grandi quotidiani di ieri, la notizia della nascita di Forza del Sud, un nuovo partito che aspira a rappresentare la Sicilia ma anche a propagarsi e replicarsi nelle altre regioni del Mezzogiorno: potenzialmente una Lega Sud, una copia speculare della Lega Nord di Umberto Bossi. Il fondatore del partito, Gianfranco Miccichè, è anche membro dell’attuale governo, ed è il politico che nel 2001 regalò a Forza Italia la vittoria per 61 collegi a zero in Sicilia.

È possibile che l’esperimento fallisca, o serva soltanto al suo promotore a diventare governatore della Sicilia, quando nell’isola si tornerà a votare per eleggere l’Assemblea Regionale. Così dicono i nemici e i maligni. Però secondo me faremmo male a sottovalutare l’evento, sia sul piano strettamente politico sia sul piano più ampiamente culturale.

Sul piano politico, a dispetto dello sconcerto di alcuni uomini vicini al premier, che hanno visto l’iniziativa di Miccichè come un tradimento, Forza del Sud potrebbe rivelarsi l’asso nella manica del centro-destra alle prossime elezioni, la carta che scongiura lo scenario più temibile per Berlusconi.

Che Pdl e Lega si ripresentino alleati, senza tuttavia l’appoggio delle due componenti meridionaliste del centro-destra, ossia l’Udc di Casini e Futuro e libertà di Fini. Un’eventualità che toglierebbe credibilità al centro-destra nelle regioni meridionali, e che potrebbe sfociare in una catastrofe elettorale per Bossi e Berlusconi nel caso la rappresentanza del Mezzogiorno venisse monopolizzata dagli altri due probabili poli elettorali, ossia l’alleanza di sinistra Pd-Sel-Idv (Bersani-Vendola-Di Pietro) e l’alleanza di centro Udc-Fli-Api-Mpa (Casini-Fini-Rutelli-Lombardo). In questo scenario Pdl e Lega farebbero il pieno dei voti nel Nord ma perderebbero il Mezzogiorno, perché il Pdl non può presentarsi al Sud alleato con la Lega e al tempo stesso privo di una credibile gamba meridionale. Di qui l’utilità potenziale del partito di Miccichè per il centro-destra, e la sua pericolosità per il Terzo Polo e, indirettamente, per la sinistra stessa, attualmente impegnata in Sicilia in uno spettacolare esperimento trasformistico (governare con le forze anti-berlusconiane del centro-destra). Se Forza del Sud (Fds) crescesse in Sicilia e si espandesse in altre regioni meridionali, potrebbe fornire a Berlusconi la copertura di cui ha bisogno se desidera mantenere l’alleanza con la Lega e non sparire dal Sud. E la simpatia con cui alcuni illustri esponenti del governo, per esempio Stefania Prestigiacomo e Mara Carfagna (entrambe della Fondazione Liberamente), hanno guardato alla nascita di Forza del Sud fa pensare che l’ipotesi di un tridente Pdl-Lega-Fds alle prossime elezioni non sia del tutto campata per aria.

Ma non è tutto. Il partito di Miccichè andrebbe seguito con attenzione anche perché, a mio parere, alcuni tasselli della sua analisi dei problemi del Mezzogiorno non sono infondati. E più in generale perché, al di là di quello che Miccichè ha detto l’altro ieri a Palermo, è la cultura del Mezzogiorno in quanto tale, con le sue istanze e le sue analisi, che meriterebbe di essere presa più sul serio di quanto solitamente facciamo, specie qui al Nord. Ho passato un paio di anni a documentare il disastro delle regioni meridionali, e il processo di vera e propria spoliazione che il Nord subisce ogni anno da parte del resto d’Italia, ivi compreso il Mezzogiorno. Sono in tutto 50 (cinquanta) miliardi che ogni anno lasciano il Nord per foraggiare il resto del Paese. L’ho ribadito più volte, e l’ho documentato in un libro recente (Il sacco del Nord). E tuttavia questo fatto macroscopico, che riguarda la spesa corrente e a cui si dovrà prima o poi porre qualche rimedio, non deve farci dimenticare altri fatti, altrettanto importanti se si vogliono affrontare i problemi del Mezzogiorno in modo costruttivo, e soprattutto con spirito equanime, senza forzature campanilistiche.

Il primo fatto è che, per una parte della storia d’Italia, il vittimismo delle popolazioni meridionali è sostanzialmente giustificato. È vero, ad esempio, che buona parte del divario Nord-Sud non esisteva al momento dell’Unità d’Italia ma si è prodotto nei primi 90 anni, dal 1861 al 1951: così rivelano le ricostruzioni più recenti degli storici dell’economia. Quanto alla seconda parte della nostra storia, dalla fine della Seconda guerra mondiale a oggi, è vero che la Cassa per il Mezzogiorno prima e la «Nuova programmazione» poi hanno invertito la tendenza, nonché largamente (e spesso malamente) risarcito il Mezzogiorno, ma è anche vero che negli ultimi anni, mentre la spesa pubblica corrente continuava a favorire il Sud, quella in conto capitale (che finanzia gli investimenti e le infrastrutture) lo ha invece gravemente penalizzato.

Il secondo fatto su cui riflettere riguarda la struttura degli squilibri territoriali, che contrappongono le regioni del Nord a quelle del Sud. Qui, contrariamente a quanto venti anni di propaganda anti-meridionale hanno indotto a credere, lo squilibrio fondamentale non consiste nella quantità di risorse pubbliche che affluiscono alle regioni meridionali, alcune delle quali sono anzi addirittura sotto-finanziate (così come, simmetricamente, al Nord sono sovra-finanziate tutte e tre le regioni a statuto speciale). I due squilibri fondamentali da rimuovere sono piuttosto l’evasione fiscale e lo spreco di risorse pubbliche, quest’ultimo sia sotto forma di sussidi indebiti (falsi invalidi, imprese fantasma, finti corsi di formazione), sia sotto forma di pessimi servizi pubblici, una delle più potenti cause di povertà ed emarginazione.

Ma c’è un ultimo ordine di fatti su cui vorrei attirare l’attenzione, perché ne sono stato testimone diretto parlando con politici, amministratori e comuni cittadini del Mezzogiorno. Il Mezzogiorno non è tutto uguale, e soprattutto non è fermo. Esistono anche realtà ben amministrate (persino nelle regioni di mafia), ma soprattutto c’è una parte della classe dirigente meridionale che si rende perfettamente conto che i soldi sono finiti, che non si può andare avanti come in passato, e che il fallimento delle politiche per il Mezzogiorno è prima di tutto responsabilità del Mezzogiorno stesso, dei suoi politici, imprenditori, comuni cittadini. Questo pezzo di Sud non rifiuta affatto la sfida della Lega, il suo invito al buon governo e al rispetto delle leggi, ma pretende che anche lo Stato centrale torni a fare la sua parte, ad esempio sbloccando gli investimenti in infrastrutture. Una buona politica economica nel Mezzogiorno dovrebbe partire proprio da questi due pilastri: più e non meno rigore sulla spesa corrente, scommesse più generose in conto capitale, a partire dallo sblocco dei fondi europei.

Non so se Forza del Sud saprà essere tutto questo, un partito consapevole della forza del Mezzogiorno ma anche delle sue responsabilità e delle sue ragioni. Ancor meno so se un tale partito darebbe più fastidio all’attuale destra o all’attuale sinistra. Ma so che non saremmo in pochi, al Nord come nel resto del Paese, a guardarlo con simpatia e con speranza.

da www.lastampa.it

NASCE LA FORZA DEL SUD

domenica, ottobre 24th, 2010

Il nome sarà «Forza del Sud», l’eco della stagione vincente delle origini di Forza Italia, quando Berlusconi aveva il sole in tasca, e il senso di una rivincita fin troppo attesa della Sicilia, e presto del Mezzogiorno, che non vogliono più pagare il conto dell’asse Pdl-Lega e dello «strapotere» di Tremonti.

Gianfranco Miccichè, l’eretico sottosegretario palermitano che da tempo covava la creatura, ci ha messo un anno e mezzo a decidere: ma ormai il dado è tratto. Sabato prossimo, 30 ottobre, salirà sul palco del teatro Politeama a Palermo per presentare il suo nuovo partito e sciogliere il filo sottile che ormai lo legava al Popolo della libertà.

Sarà una Lega del Sud, e se davvero, dopo quella siciliana, nasceranno altre Forze del Sud anche in Campania, Puglia e Calabria, il contraccolpo sul già traballante equilibrio del Pdl potrebbe essere esiziale. Miccichè lo sa, ma non se ne preoccupa, perché il primo a esserne avvertito, sostiene, è proprio Berlusconi. Nei diciotto mesi trascorsi dal primo annuncio e dal primo convegno di una trentina di parlamentari meridionali – con la ministra Stefania Prestigiacomo, che alla fine resterà col Cavaliere, nel ruolo di donna simbolo del movimento e Antonio Martino in quello di autore del programma – il sottosegretario è stato sottoposto a una continua pressione, mirata a tenerlo a qualsiasi costo dentro i confini del partito. Ma stranamente, non è stato Berlusconi a stringerlo: il compromesso che aveva portato i transfughi siciliani ad accettare di distinguersi solo nel gruppo parlamentare dell’Assemblea regionale siciliana, come Pdl-Sicilia, e non anche nelle Camere, era stato imposto più dallo stato maggiore del partito, compreso Dell’Utri, che su Miccichè ha sempre avuto un forte ascendente, che non dal leader.

Anzi, un Berlusconi insolitamente tollerante, negli stessi giorni, quasi, in cui decideva l’espulsione di Fini dal Pdl, si rivelava molto paziente con il sottosegretario che conosce da sempre, da quando lavorava per lui a Publitalia, e i suoi puntuti seguaci. A chi gli chiedeva di intervenire subito, per stroncare sul nascere la nuova eresia, rispondeva: «Gianfranco lo conosco troppo bene: non farà nulla contro di me». Forse valutava l’irrequietezza di Miccichè – l’uomo che nove anni fa, nel 2001, gli aveva portato in dote lo storico risultato del 61 a zero, la vittoria alle politiche in tutti i collegi dell’isola – alla stregua di un’ubbia temporanea, frutto di imperscrutabili, ai suoi occhi, stati d’animo siciliani e delle rivalità con i nuovi astri palermitani del centrodestra, il presidente del Senato Renato Schifani e il ministro della Giustizia Angelino Alfano. E sotto sotto, magari condivideva alcune delle cose dette dai dissidenti sul degrado del partito. In ogni caso contava sul fatto che il sottosegretario – uno dei pochi ricevuti a casa sua come ospite permanente, con letto, camera e pigiama fresco di bucato riservati per l’accoglienza – non sarebbe mai diventato suo avversario diretto.

Ma ora che la separazione è decisa, e Miccichè ha fissato la data e la liturgia simil-berlusconiana, fin dal nome del nuovo partito, della convention e della sua personale discesa in campo, il Cavaliere deve fare i conti con il problema. Pur partendo da una ristretta pattuglia di parlamentari (nell’Assemblea siciliana sono rimasti in cinque, e altrettanti, più o meno, tra Camera e Senato) Miccichè – che vuole restare all’interno del centrodestra – controlla nell’isola un pacchetto di voti strategici per far scattare, a livello regionale, il premio di maggioranza, indispensabile al Cavaliere per riottenere una maggioranza anche al Senato. Lo stesso meccanismo si ripercuote a tutti i livelli istituzionali nell’isola, e non a caso tiene bloccata da settimane la formazione della nuova giunta al Comune di Palermo.

Pur consapevole che la lunga gestazione del progetto ha reso più difficile la sfida, Miccichè considera questa una sufficiente base di partenza. Anche se la vera riuscita dell’operazione è legata alla nascita di una vera e propria Lega del Sud, una sorta di federazione di tutti i fuorusciti dal Pdl alle soglie dell’implosione. Basta solo guardarsi attorno: se in Campania perfino Mara Carfagna, cioè una delle ministre più vicine a Berlusconi, arriva a dire che occorre fondare un nuovo partito per farla finita con il coordinatore inquisito del Pdl Nicola Cosentino, vuol dire che anche lì qualcosa si sta muovendo. Lo stesso accade in Puglia con l’ex An Adriana Poli Bortone, anche lei in marcia di avvicinamento a Forza del Sud con il suo movimento che, rimasto fuori per un soffio dal centrodestra, avrebbe potuto capovolgere il risultato delle regionali vinte da Vendola. Mentre in Calabria a decidere di muoversi autonomamente dal Pdl potrebbe essere, se non proprio direttamente il governatore Scopelliti, trionfatore alle ultime elezioni amministrative, un gruppo di persone a lui vicine e stanche dell’andazzo del Pdl.

Come accadrà in Sicilia alla fine della prossima settimana, anche la nascita delle altre Forze del Sud, in Campania, Puglia e Calabria, avverrebbe indipendentemente dalla possibile scadenza di elezioni anticipate, pur se è indubbio che un evento del genere finirebbe con il favorire lo scioglimento anticipato delle Camere. Al primo punto, infatti, la nuova Lega meridionale dei fuorusciti dal Pdl metterebbe il riequilibrio dell’attuale maggioranza impostata sull’asse con Bossi, la rinegoziazione della politica economica del governo nei confronti del Mezzogiorno e lo sblocco dei fondi strutturali nazionali ed europei che il governo tiene fermi da anni. La leva per ottenere ciò che finora Berlusconi e Tremonti hanno negato sarebbe la minaccia di formare in Parlamento nuovi gruppi parlamentari autonomi, con cui Palazzo Chigi dovrebbe negoziare separatamente, né più né meno di come sta facendo con Fini. Con la conseguenza, intuibile, di un’accelerazione dell’instabilità di cui il governo soffre già adesso. E la possibilità che il movimento centrifugo, dal Pdl, si estenda anche al Pd, o almeno alle sue inquiete frange centriste postdemocristiane, che non potrebbero restare indifferenti a una riarticolazione territoriale dei confini politici nel Centro-Sud, cioè nell’area dove sono più presenti e dove si gioca per davvero lo spostamento del baricentro politico dell’intero Paese.

Questo spiega perché la nascita, ormai annunciata, di Forza del Sud sia già inserita all’ordine del giorno dei vertici del Pdl, tra i problemi più urgenti. Se Berlusconi rifiuta di parlarne, e come sempre nei momenti difficili ne fa una questione personale – il tradimento di un giovane a cui ha voluto bene come a un figlio e ha dato tutto, da imprenditore e da leader -, gli stati maggiori del Popolo della libertà sono impegnati a valutare quanto possano pesare la mini-scissione siciliana e l’eventuale clonazione di Forza del Sud nelle altre regioni. Circola un dato, provvisorio, che vale quel che vale: sarebbero quaranta alla Camera, e una ventina al Senato, al netto degli altri trenta comunque contrari alle elezioni, i parlamentari del Sud pronti a distinguersi. Basta e assoverchia per mettere nuovamente con le spalle al muro il governo, appena uscito da un voto di fiducia.