LEGA SALVINI PREMIER – LEGA LOMBARDA SEZ. MEDA

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LA POLEMICA CHE NON ESISTE

martedì, giugno 15th, 2010

Certo, in tempo di Mondiali, inno e tricolore, la polemica contro la Lega non poteva mancare.

In questi giorni le pagine dei giornali riportano una “presunta” notizia secondo cui durante l’inaugurazione di una scuola in Veneto, il neo governatore Zaia ha sostituito l’inno di Mameli col verdiano Va Pensiero.

La precisazione arriva subito dal governatore leghista, che sostiene l’assoluta falsità della notizia: “Tutto è nato dal fatto che un giornale locale ha riportato con pieno titolo in prima pagina ‘Zaia vieta l’inno di Mameli. La notizia è stata ribattuta dalle agenzie e tutti hanno commentato una notizia falsa” ha ribadito oggi il presidente leghista a Sky Tg24. “C’erano due cori – ha spiegato il governatore – uno di bambini e l’altro di adulti messi in un piazzale nella parte all’ombra; in mezzo c’era il palco e a lato la zona dell’inaugurazione un po’ distante dai cori. Sono stati cantati il Va’ pensiero, l’inno di Mameli durante il taglio del nastro e anche altre canzoni; tutto in maniera molto regolare. Del resto voglio precisare che io non mi occupo delle inaugurazioni degli altri”.

Notizia senza fondamento, quindi. Ma in Italia, in mancanza di altro su cui sparlare, montano le polemiche.

Massimo Donadi, capogruppo di Italia dei Valori alla Camera, ha subito aggiunto: “Se corrisponde al vero che il presidente della regione Veneto Zaia ha fatto sostituire l’inno di Mameli durante un’inaugurazione ufficiale siamo di fronte ad un un fatto gravissimo che condanniamo con forza e chiediamo al governo di prenderne le distanze e di condannare il gesto di Zaia senza se e senza ma. Questa volta si tratta di un gesto sprezzante ed intollerabile che umilia il Paese e la Costituzione”.

Il segretario nazionale de ‘La Destra’, Francesco Storace, è stato poi definitivo: “La provocazione di Zaia è intollerabile. Il Veneto è terra italiana. Se al Governatore, l’inno nazionale fa schifo, lasci l’incarico istituzionale”.

Ecco per finire l’iniziativa del ministro La Russa, annunciata oggi al suo arrivo alla riunione di Assolombarda. Con una legge, ha precisato, ci sarà “un riferimento normativo, come esiste per l’esposizione della bandiera. In questo modo eliminiamo un’altra occasione di discussione”. Il titolare della Difesa tenta di minimizzare la responsabilità del governatore: “Sono l’unico che ha dubitato che Zaia avesse effettivamente deciso di non far suonare l’inno. Ho fatto bene perché ho scoperto che invece è stato suonato. Credo però  che una sottovalutazione di questo che è un momento centrale delle cerimonie pubbliche ci sia stato anche in quell’occasione”. Quindi ha ribadito che il Va’ pensiero scelto dalla Lega come inno di partito “è perfino più patriottico di quello di Mameli”.

Come dire…non ci sono altri problemi…

RIMANGONO LE PROVINCE

venerdì, giugno 11th, 2010

da http://iltempo.ilsole24ore.com

Cancellato dalla Carta delle autonomie il taglio delle mini-province. Il relatore del testo e presidente della commissione Affari costituzionali della Camera, Donato Bruno, ha presentato un emendamento che sopprime l’articolo 14 del testo secondo il quale si sarebbe dovuto razionalizzare il sistema delle province. Di Bruno era un emendamento, votato due giorni fa, che stabiliva in 200mila il numero minimo di abitanti di una provincia. Di fatto, tutte quelle al di sotto sarebbero dovute saltare. A rischio erano rimaste solo quattro province. Adesso resteranno anche quelle. In questo senso, si era espresso ieri il segretario della Lega Umberto Bossi, ministro per le Riforme.

BERLUSCONI E LA COSTITUZIONE: VA MODIFICATA?

giovedì, giugno 10th, 2010

Un’architettura istituzionale che rende “un inferno” la vita di chi deve governare, una Costituzione scritta 60 anni fa e che sconta i “compromessi di matrice catto-comunista”, soprattutto sulla parte relativa alla libertà d’impresa, in particolare l’articolo 41 ormai “datato” e che dunque va modificato. Silvio Berlusconi sceglie l’assemblea di Confartigianato per annunciare una “stagione di liberalizzazioni” che liberino l’Italia e gli imprenditori, la “spina dorsale del Paese”, da quella che il premier definisce “l’oppressione giudiziaria, fiscale e burocratica”. Tutta colpa della “cultura comunista” che per Berlusconi informa la Costituzione e che soprattutto negli anni ’70 “è stata improntata al sospetto verso l’uomo e le sue iniziative”, verso l’imprenditore visto come “sfruttatore ed evasore”. Parole che provocano la reazione delle opposizioni. Pierluigi Bersani fa notare che il premier, assumendo l’incarico, “ha giurato sulla Costituzione: se non gli piace vada a casa”. Duro anche Antonio Di Pietro: “Solo nei modelli fascisti si può fare a meno delle regole costituzionali e del Parlamento”. Ma chi difende il premier è l’alleato Umberto Bossi: Costituzione ‘datata’? “La stiamo cambiando proprio per questo motivo”. Sulle intercettazioni “la fiducia era quasi inevitabile”, dice il ‘Senatur’ quanto alla decisione di porre la fiducia sul provvedimento al Senato. “Non crea problema con l’opposizione. Le riforme – osserva il leader del Carroccio – sono troppo importanti. Le opposizioni non pososno invocare delle scuse”. Un clima in cui il premier si riconcilia platealmente con Emma Marcegaglia, abbracciandola e baciandola arrivando all’Auditorium della Musica. E poi, da imprenditore tra gli imprenditori, Berlusconi lamenta le difficoltà “che appaiono insormontabili” nell’attività del Governo: “Vista da dentro è un inferno”, “abbiamo un’architettura istituzionale che rende difficilissimo trasformare i progetti in leggi compiute e operanti dello Stato. I tempi sono incredibili”. Ma Berlusconi un altro progetto lo annuncia anche oggi: una “stagione di liberalizzazioni” che elimini “permessi, autorizzazioni e licenze” per svolgere un’attività economica, roba “da Stato totalitario”: l’obiettivo è arrivare ad un sistema per cui “basterà una comunicazione allo sportello unico dell’impresa”. Domani sarà approvato dal Cdm il regolamento per lo sportello unico, poi “entro l’autunno” sarà legge lo statuto delle Pmi, con “il limite massimo alla pressione fiscale”.

BOSSI FRENA SULLE PROVINCE

venerdì, maggio 28th, 2010

E nella manovra di cui non si riesce a leggere il testo arriva anche il giallo serale. L’annunciata abolizione di 10 Province viene smentita a tarda sera davanti ai parlamentari del Pdl da Tremonti e Berlusconi: “E’ una notizia falsa. Nella manovra economica varata dal governo non ci sarà nessuna abolizione”, dice il ministro. E a lui si sarebbe unito il premier spiegando che per farlo ci vorrebbe una modifica costituzionale.

Contrordine, dunque. E cala la tensione nelle 10 Province delle quali si calcolava l’abolizione secondo quanto riportato dallo stesso sito del ministero dell’Economia nel quale si spiega che “sono abolite 10 piccole province, con meno di 220.000 abitanti, non ricadenti in Regioni a statuto speciale”. Secondo quanto si è appreso, le modalità di calcolo della popolazione per individuare quali sono le provincie interessate faranno riferimento alle statistiche Istat.

E’ proprio a questo che qualche ora prima si riferiva Umberto Bossi con l’aria di quello che un po’ sta scherzando, usando però l’espressione “guerra civile” che in una battuta ci sta stonata. Guerra civile “se toccano Bergamo”, dice infatti il Senatur dopo la conferenza stampa con la quale Giulio Tremonti e Silvio Berlusconi hanno illustrato i contenuti della manovra. Il leader del Carroccio risponde ai cronisti che gli chiedono della proposta, avanzata dai parlamentari finiani con una lettera aperta sul Secolo d’Italia, di “tagliare” tutte le province (mentre la manovra si è fermata a quelle inferiori ai 220 mila abitanti con l’esclusione di quelle frontaliere). Ma sulla questione “non ci sono novità”, commenta Bossi, aggiungendo che “andare oltre sarà difficile” e che “se uno prova a tagliare la provincia di Bergamo, scoppia la guerra civile”.

da www.repubblica.it

PRIMI COMMENTI SULLA FINANZIARIA

giovedì, maggio 27th, 2010

“Ci sono alcune province che non sono toccabili, bisogna trovare la via possibile. Se mi toccano la provincia di Bergamo dobbiamo fare la guerra civile”. Così il ministro delle Riforme Umberto Bossi, con accanto il bergamasco Roberto Calderoli, replica ai cronisti che gli chiedono se è possibile arrivare all’abolizione di tutte le province.

E sempre sull’abolizione delle Province interviene anche il ministro dell’Economia Tremonti, che alla riunione alla Camera con Silvio Berlusconi e i parlamentari del Pdl ha stoppato sul nascere una domanda sull’abolizione delle Province, spiazzando i presenti: “Non ci sarà l’abolizione delle Province”, ha detto il responsabile di via XX Settembre. “Ho letto cose false, quello che dovevo dire l’ho detto in conferenza stampa e con gli atti ufficiali”, ha aggiunto Tremonti, sempre parlando delle Province.

 

Tornando a Bossi, “Tremonti ha buttato sul campo una manovra dura, tanto che Berlusconi all’inizio era un po’ preoccupato. Ma ora dice che è la sua manovra”, aggiunge il Senatùr parlando con i cronisti in Transatlantico. Insomma, per Bossi la manovra è fatta di “sacrifici necessari, però è anche abbastanza equilibrata perchè tocca tutti”. Quanto alla possibilità di modificarla in qualche punto, “vediamo in Commissione, quello che ci mettono dentro e come intervengono anche gli altri”.

Il leader della Lega nega però malumori, soprattutto nel nord: “No, se è l’unica via per stare in piedi… E poi abbiamo anche l’Europa che ci costringe a intervenire”. Tuttavia “oggi anche all’Osce hanno detto che è una buona manovra, non muore nessuno”.

Un intervento necessario, per Bossi, soprattutto perchè “prima eravamo solo noi ad avere un debito così alto e a fare le aste dei titoli di Stato. Oggi le fanno tutti, e se l’Italia non è capace di ridurre le spese rischiamo che gli investitori vanno negli Usa o in Germania. Non potevamo farci tagliare fuori. E’ dura, ma bisogna passare di lì”.

“Di solito pagano quelli che è più facile prendere, poi sicuramente bisogna stare attenti a far pagare tutti, non solo i più poveri perchè è più facile prenderli…”, aggiunge poi Bossi.

 

da  http://quotidianonet.ilsole24ore.com

BOSSI HA DUE PALLE COSI’

mercoledì, maggio 26th, 2010

Un padre capace di lottare e di trascinare la gente, un padre che “ha due palle così” ed è il capo della Lega e che in quella creatura, che giudica sua, vuole che vivano e crescano i suoi figli: a parlare di Umberto Bossi è il primogenito del leader della Lega Nord, Riccardo. In un’intervista al settimanale Oggi, che ne ha diffuso una sintesi, Riccardo Bossi, 30 anni, ribatte alle accuse di nepotismo rivolte al padre Umberto e parla di sé e dei fratelli.

«Mio padre ha due palle così». «Dove è il problema? È normale che un padre cerchi di far capire ai suoi figli quello che fa. E i figli, vedendo un padre così, che lotta, che non si arrende mai, nemmeno alla più schifosa delle malattie, cosa dovrebbero fare? Mio padre è un uomo vero, ha due palle così, trasmette una carica pazzesca e trascina milioni di persone. Perché non dovrebbe trascinare anche i figli? Se uno ha un’azienda chi pensa di inserire? I suoi figli o degli estranei? Certo che la Lega non è un’azienda. Ma non bestemmio se dico che mio padre la sente sua».

«I miei fratelli sono tutti in gamba». Riccardo Bossi, in passato assistente dell’europarlamentare leghista Francesco Speroni e oggi pilota di rally, aggiunge: «la Lega l’ha creata lui, la gestisce lui, il capo è lui. E la cosa più naturale è che accanto a sè voglia i suoi figli». «I miei fratelli sono tutti in gamba. Renzo ai Mondiali non farà il tifo per la Nazionale? Amen. Non è su un mese di Mondiale che io giudico un politico . Credetemi, è lanciatissimo e potrà solo crescere. Ha un incarico pubblico ed è giusto stargli addosso. Ma giudichiamolo per quello che fa».

ANCORA SCINTILLE TRA LEGA E UDC

lunedì, maggio 24th, 2010

Casini manda messaggi a tutti. Dal palco dell’antico albergo umbro di Todi, il leader dell’Udc chiude la tre giorni di convention analizzando lo scenario politico a 360 gradi. Si rivolge a Silvio Berlusconi e alla sua maggioranza, parla all’opposizione, attacca la Lega e detta la linea ai centristi sul futuro del partito ma, la cosa sulla quale calca maggiormente la mano, è smentire il «gossip» di un possibile ingresso dell’Udc nell’attuale governo: «Sarebbe vecchio e immorale – dice Casini – se qualcuno di noi coltivasse l’idea che dopo aver preso voti per stare al centro, in opposizione a Berlusconi, oggi si rifluisse nel suo governo. Non perdo nemmeno tempo a discutere, le considero idee umilianti». Una posizione netta, almeno a parole, dettata anche dal fatto che, se l’Udc rientrasse nell’esecutivo, si troverebbe come alleati quei nordisti verso i quali, anche ieri, Casini ha speso parole molto dure: «Il Paese è prigioniero della Lega che detiene la “golden share dell’alleanza” e per questo Berlusconi non può far altro che assecondarli. Per questo Bossi non vuole la riconciliazione nazionale, ma lo scontro cannibalesco». Parole che non turbano minimamente il leader della Lega che, intervenendo a margine del 158° anniversario della fondazione della polizia a Varese, ha nuovamente respinto l’ipotesi di un allargamento della maggioranza verso i centristi: «Io temo che l’Udc faccia come nel passato quando ogni giorno se ne inventava una per far casino. In quel caso lì è meglio che non venga». E aggiunge: «È chiaro che, se l’Udc va via dalla sinistra, la sinistra finisce nelle mani della sinistra estrema però, se viene da noi a fare i casini del passato, mette nei pasticci anche noi». Casini poi, dopo aver chiesto al premier un «patto per l’Italia» che metta fine alla sindrome dell’autosufficienza della maggioranza e dopo aver tirato le orecchie ai colleghi dell’opposizione accusati di non assumersi le proprie responsabilità nell’attuale fase di crisi, si rivolge al proprio partito. Ai suoi non promette «garanzie» ma richiede il cambiamento necessario «per contare, esistere ed essere protagonisti. Senza nostalgie». Casini mette sul piatto la rinuncia al proprio nome sul simbolo («non credo ai partiti personalistici») e anche la disponibilità ad abbandonare lo scudo crociato («So che mi devo misurare con giovani che non hanno votato quel simbolo storico della Prima Repubblica«), anche se questa decisione spetterà al partito. Casini così chiede un nuovo inizio per il centrismo italiano e annuncia lo spirito del «Partito della Nazione»: «Dovrà interpretare il sentimento e il senso di unione nazionale».

NO ALL’UDC

sabato, maggio 22nd, 2010

da www.ilsole24ore.com

A giudicare dalle lapidarie parole del Senatur il matrimonio tra Pdl e Udc proprio non s’ha da fare per il Carroccio. Visto che Umberto Bossi ha inviato ieri l’ennesimo messaggio al Cavaliere stoppando sul nascere l’idea di un allargamento dell’esecutivo ai centristi. «L’ingresso dell’Udc nel governo alla Lega non piace». Repetita iuvant, avrà pensato il leader lumbard che ribadisce ormai a ogni piè sospinto la sua contrarietà a un possibile apparentamento tra Pdl e Udc. E che ieri è arrivato addirittura a scomodare il Vangelo per far capire come l’ipotesi di un matrimonio con i centristi proprio non sia contemplata dalla Lega. «Come si dice… è più facile che un cammello entri nella cruna di un ago».

Lo stop del Senatur non provoca però grossi scossoni dalle parti dei centristi, riuniti da ieri a Todi per la tre giorni di seminario organizzata dalla fondazione “Liberal” di Ferdinando Adornato. Che risponde per le rime al leader leghista. «In attesa che Bossi cammini sulle acque del Po diciamo che Bossi cammini sulle acque del Po diciamo che questo governo non è il regno dei cieli. Non abbiamo nessuna intenzione di entrarci e non ci entreremo». Ironia in salsa centrista per ribadire che l’Udc, almeno per ora, non ha intenzione di abbandonare l’opposizione. Tanto che anche il segretario centrista, Lorenzo Cesa, coglie la palla al balzo per spiegare che «Bossi ha perfettamente ragione. È vero che l’Udc non entrerà mai in questo governo. Come sempre Bossi manda messaggi non a noi, ma a Berlusconi». Da Todi, comunque, i centristi provano a costruire la road map del nuovo “partito della nazione”. Il cui identikit è affidato proprio ad Adornato. «Non sarà un restyling dell’Udc – dice – ma un grande partito cristiano e liberale che si candidi a governare l’Italia del XXI secolo». Un partito «di ispirazione cristiana» certo, ma, avverte il presidente di Liberal, «non saremo il partito della Chiesa».

Quanto a possibili canali di dialogo con le altre forze parlamentari Adornato pesa attentamente le parole. «Non abbiamo invitato altri movimenti o soggetti politici.

Non lo abbiamo fatto – precisa – perché risulti chiaro che non vogliamo far nascere il nuovo partito come somma di organigrammi e di nomenklature». Poi si rivolge all’Api di Rutelli, come pure alle organizzazioni che nasceranno oltre il Pd ma anche oltre il Pdl, per lavorare a un identico binario. «Da qui – prosegue – lanciamo un progetto per le prossime politiche: lavoriamo per costruire insieme un grande rassemblement riformista, una nuova grande alleanza, che si candidi, oltre al Pd e al Pdl, al governo del paese. Marciamo oggi distinti ma non distanti per colpire domani insieme». Ma, sia chiaro, chiosa Adornato, «noi non abbiamo proposto un allargamento della maggioranza, ma un nuovo governo di responsabilità».

Insomma, pochi dubbi sulla linea futura. E per ora l’ipotesi di un ingresso al governo sembra archiviata. Vero è che il Cavaliere ha apprezzato l’atteggiamento responsabile di Casini e dei suoi sugli ultimi provvedimenti parlamentari. Così come è vero che, subito dopo le dimissioni di Scajola, Berlusconi ha provato, mandando in campo i suoi migliori ambasciatori, a convincere Casini a rientrare nella maggioranza. Il numero uno dell’Udc, però, ha risposto picche. Ponendo chiare condizioni: cioè la richiesta di un forte segnale di discontinuità che non sembra per ora rientrare nella strategia del Cavaliere. Per questo l’Udc è decisa a proseguire lungo la svolta del partito della nazione: domani Casini lo ribadirà con forza.

SEMPRE E SOLO ROMA

giovedì, maggio 20th, 2010

Così è deciso. I pochi che si aspettavano una sorpresa sono rimasti delusi. A niente è valsa nemmeno la discesa in campo del ministro Umberto Bossi che lunedì, in visita a Venezia al governatore Zaia, aveva ribadito che avrebbe cercato di convincere anche il Presidente Berlusconi a sostenere la candidatura di Venezia 2020.

E invece le voci che giravano da settimane si sono rivelate ben più che dei rumors. Il Coni ha bocciato la candidatura veneziana per coronare Roma come candidata italiana ai giochi olimpici del 2020. Tutto come prestabilito. «Sono incazzato e arrabbiatissimo» è stata la reazione a caldo del presidente della Regione Veneto Luca Zaia «questa è la riprova che a Roma quattro amici decidono poi le soluzioni a livello nazionale». E avverte che dal Nord non arriverà neanche un centesino dedicato alle Olimpiadi, se mai il Comitato olimpico internazionale le assegnerà a Roma. Dal canto suo il leader del Carroccio Umberto Bossi suggerisce una mediazione: «Zaia tratti con il sindaco di Roma per vedere se Venezia può ottenere almeno i giochi acquatici».”Prendiamo atto del voto del Coni, che riteniamo insoddisfacente sia nel merito che nel metodo. Siamo assolutamente convinti che la proposta di Venezia non sia stata tenuta nella giusta considerazione e che, invece, avrebbe potuto rappresentare una novita’ seria per la qualita’ che esprime. Siamo certi che Venezia, capitale universale della bellezza, sia il miglior ambasciatore di tutto il nostro Paese nel mondo”. E’ questo il commento del Presidente della Regione Veneto Luca Zaia alla decisione del Coni di assegnare a Roma la candidatura italiana per le Olimpiadi del 2020. ”Sia chiaro – aggiunge Zaia – che ora non escludiamo un intervento formale in altre sedi. Garantisco inoltre che da oggi spulcero’ personalmente l’intera documentazione voce per voce, sviscerando numeri, conti e promesse che sono alla base di una scelta che ritenere sbagliata e’ un eufemismo”. ”Un nord penalizzato cosi’ fortemente – conclude Zaia – di certo non servira’ alla causa che ci si vuole prefiggere”.

FEDERALISMO, I TIMORI DI BOSSI

mercoledì, maggio 19th, 2010

articolo da http://www.repubblica.it

“Stiamo cercando di portare avanti il federalismo, ma c’è molta preoccupazione. Sono preoccupato”. Così Umberto Bossi non nasconde i timori del Carroccio per il futuro della riforma federalista. Problema di soldi? “No, quelli ci sono. Con il federalismo si risparmia”, dice il Senatur.

Successivamente, conversando con i cronisti, il leader della Lega ha aggiustato il tiro: “Non è che sono preoccupato, è che il federalismo va avanti piano piano”, ha detto. “Però, mi pare che anche la sinistra ci stia dando una mano”.

Bossi sa che, per non correre rischi sul federalismo, è necessario il voto dell’opposizione. “Credo ci sia la possibilità di un voto bipartisan sul primo dei decreti attuativi. Piano, piano si va avanti nel lavoro” dice il Senatur. Che, a chi gli chiede se ci sia la possibilità di una convergenza di parti dell’opposizione come Idv e Pd, replica guardando in alto e dicendo: “Per adesso vedo il sole”. E comunque sull’ipotesi di un voto bipartisan replica:”Credo ci sia la possibilità”.

Ma all’interno della maggioranza c’è chi si mostra tiepido verso la riforma: “‘Se qualcuno mi dice che il federalismo costa, io dico meglio non farlo” dice il ministro Renato Brunetta, in un’intervista ad ‘A’. Mentre il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni sposa convintamente la causa: “Abbiamo un governo nazionale che finalmente ha fatto del federalismo un suo punto di forza e per questo lo realizzeremo”.