BOSSI E LE SUE CARTE
lunedì, novembre 15th, 2010Tira una brutta aria nel polveroso saloon del Belpaese, un’atmosfera sospesa ed elettrica che di solito prelude all’ennesima sparatoria all’OK Corral del Far West italiano. L’uomo dietro il bancone lo sa, ma continua a servire da bere come se nulla fosse, anche se tra poco non gli resterà che abbassarsi dietro la barra e aspettare che tutto sia finito.
Al centro della scena un tavolo con cinque giocatori intorno: Berlusconi che tiene stancamente il banco, una mano già poggiata sulla fondina d’oro; accanto a lui siede Bossi e, in piedi, alle spalle di entrambi, c’è Tremonti che sbircia le carte con aria apparentemente indifferente; Fini rilancia all’impazzata perché non ha più nulla da perdere; Casini bleffa con l’abilità del pokerista consumato e finge di “vedere” l’impossibile (un governo dei migliori) essendo in realtà pronto a ogni tipo di partita; Bersani fa il suo gioco: le carte sono quelle che sono e miracoli non se ne possono fare.
Cinque giocatori, dunque, ma uno solo è il baro, colui che nasconde ben tre assi nella manica: mordicchia un sigaro spento all’angolo della bocca, indossa una camicia verde e viene dal profondo Nord. Berlusconi lo sa e anche l’uomo del bancone l’ha capito perché lo conosce bene: sono vent’anni che fa il solito gioco senza sbagliare una mano.
Tre assi nella manica, si diceva: vediamo quali sono e per quale ragione fanno di Bossi il giocatore decisivo della partita, quello da cui dipendono le sorti della legislatura.
Il primo asso lo rende forte per davvero in quanto gli permette di andare alle elezioni senza temerne il risultato. Se vince governerà più forte di prima, se perde aumenterà la sua quota di parlamentari.
Bossi è il primo a sapere che un bagno all’opposizione avrebbe il salutare effetto di rinvigorire l’elettorato e la sua propaganda: è difficile anche per lui continuare a gridare “Roma ladrona” mentre va occupando sempre di più i gangli del potere dell’odiata capitale. E se fosse escluso dal governo per via parlamentare sa bene che non sarebbe per sempre, anzi, ciò gli consentirebbe di arrivare più vigoroso di prima all’attesa rivincita.
Il secondo asso rende Bossi il potenziale protagonista di un’uscita da destra dal berlusconismo. Bisognerebbe, però, riuscire nell’impresa di varare un governo che vada oltre Berlusconi, ma con Berlusconi e che lo accompagnasse alla porta dolcemente come si fa con un ospite di riguardo.
Per convincerlo sarebbe bene trovare il modo d’infilargli in tasca un salvacondotto giudiziario e rendergli l’onore delle armi. Fini e Casini sarebbero disposti a farlo a patto di rientrare al governo in una posizione di forza. Il Pd resterebbe fuori a guardare, incamerando però il successo di assistere all’uscita di scena dell’avversario di sempre.
Un risultato politico inaspettato, forse il massimo ottenibile nell’attuale quadro di rapporti di forza dopo la sonora sconfitta del 2008, che sembra ispirato allo stratega cinese Sun Tzu: «Piegare il nemico senza combattere la guerra».
Il terzo asso consentirebbe alla Lega addirittura di puntellare un governo di transizione con dentro anche il Pd e che sia contro Berlusconi, senza ipocrisie o sottigliezze, potendo magari contare sul soccorso di una pattuglia di senatori del Pdl sicuri di non essere rieletti in caso di nuove elezioni.
Tale esecutivo avrebbe l’obiettivo di riscrivere la legge elettorale, di affrontare l’emergenza economica e poi di preparare il paese alle elezioni con regole più civili. Bossi potrebbe sostenerlo in nome della duttilità o, se si preferisce, della spregiudicatezza della sua politica monotematica, tutta incentrata sul federalismo che i nuovi alleati non avrebbero difficoltà a promettergli in cambio del suo sostegno. Sembra questo il disegno più improbabile, ma la sua plausibilità dipenderà dall’incattivirsi della situazione, dal modo con cui Berlusconi sceglierà di puntare i piedi e fare resistenza, acconciandosi alla sua natura.
Natura di pistolero, è bene non dimenticarlo. Oggi il cavaliere è debole (e un Berlusconi bis lo renderebbe ancora più prostrato) e perciò non ha l’energia necessaria per impedire la formazione di scenari alternativi, ma è sufficientemente forte per bloccarne l’effettiva realizzazione potendo contare sulle divisioni e le rivalità dei suoi avversari, vecchi e nuovi.
Anzi, è proprio un simile stallo a far tirare una brutta aria di elezioni con questa legge elettorale. Lo scenario peggiore per gli interessi del paese, ma il più favorevole al premier, il quale, vistosi pregiudizialmente rifiutato dal sistema che ha contribuito a creare, farà di tutto per far saltare il tavolo e giocare l’ultima partita nel ruolo migliore, quello della vittima.
Per questa ragione Berlusconi ha la mano già pronta sulla fondina, Bossi continua a barare e l’uomo dietro il bancone trema: sa bene che non bisogna sottovalutare la mira del vecchio pistolero, reduce da mille battaglie.