La Lega e quei cartelli in aula – Il diritto a una protesta «vivace»
dicembre 23rd, 2011 at 8:45Vi proponiamo intervento di risposta di Roberto Maroni ad una lettera aperta di un gionalista ed indirizzata al direttore del Corriere delle Sera pubblicato in data 19.12.2011.
Caro direttore, rispondo con piacere alla lettera aperta – «Insulti e gazzarre. Maroni, lei che dice?» – che Massimo Franco mi ha indirizzato sul Corriere del 16 dicembre. Credo di averne i titoli, non tanto perché ex ministro dell’Interno, quanto piuttosto perché contro di me, quando ero ministro, l’allora opposizione ne fece di tutti i colori, arrivando persino a esporre in aula alla Camera dei cartelli con la scritta «Maroni assassino!».
Nessuna preoccupazione: le aule parlamentari hanno visto in passato ben di peggio di qualche innocuo cartello. Massimo Franco però inquadra le contestazioni parlamentari della Lega in «una sorta di Internazionale del populismo» culturalmente e politicamente regressiva. L’accusa di populismo alla Lega non è una novità. Nel corso degli anni, assecondando opportunità politiche o mediatiche, la Lega è stata alternativamente oggetto di accuse anche più gravi (partito razzista e xenofobo), di lusinghe (ricordate la Lega come «costola della sinistra» copyright D’Alema?), di intimidazioni (le pretestuose azioni giudiziarie contro le camicie verdi risoltesi tutte nel nulla) e di scomuniche varie. La Lega non è nulla di tutto ciò: noi semplicemente viviamo le diverse fasi della politica con la naturalezza che ci deriva dall’essere un partito fatto di gente normale, con pochi Professori, che interpreta le esigenze, le aspettative e (perché no?) gli umori della società moderna e complessa che vive e opera in Padania. Lo abbiamo fatto assumendoci negli anni onerosissime responsabilità di governo e ottenendo lusinghieri risultati, ad esempio nella lotta alla mafia. Lo facciamo ora dai banchi dell’opposizione, con un atteggiamento «vivace» che non è «una banale pulsione populista», interpreta in realtà quel verso di Walt Whitman («E risuona il mio barbarico yawp! sopra i tetti del mondo») che il genio di Peter Weir ha immortalato nel film L’attimo fuggente: un urlo liberatorio, contro una manovra iniqua che si abbatte come una mannaia sul ceto produttivo padano e sui più deboli. Un urlo che noi sentiamo provenire forte e chiaro dalle nostre terre, dai comuni che amministriamo, da chi lavora in quelle che qualcuno a Roma (pensando di offenderci) chiama le «fabbrichette». Per la verità alla Camera la Lega non si è limitata a protestare, ma ha anche presentato molti emendamenti alla manovra, ma di questa pars construens non c’è traccia evidente nei resoconti della stampa (ah, per la cronaca, tutte le proposte della Lega sono state respinte). Un atteggiamento, quello della Lega, tutt’altro che regressivo, perché svolge l’insostituibile funzione democratica di trattenere nell’alveo delle istituzioni quel «ribellismo delle classi popolari» verso le ingiustizie di cui parlava già Antonio Gramsci e che i sociologi oggi (con minore efficacia) chiamano «disagio sociale». Nelle ultime settimane ho girato molto le contrade del Nord dove ho incontrato cittadini e imprenditori, quelli che stanno pagando un pedaggio molto elevato alla crisi economica. Ho registrato il crescente disagio di un Nord che, in termini di Pil, nel 2010 è cresciuto più della Baviera (+ 1,7 al Nord-Ovest; + 2,1 al Nord-Est) e che percepisce l’iniquità di una manovra economica ritenuta regressiva e punitiva. I governi che si sono succeduti negli ultimi decenni (compresi quelli di cui ho fatto parte: lo dico con evidente autocritica) non sono riusciti a risolvere l’antica questione del divario territoriale Nord-Sud. L’Italia è ancora un Paese dove il Pil del Sud è la metà di quello del Nord, mentre l’evasione è mediamente il doppio, con punte che sfiorano il novanta per cento. E la manovra Monti non aiuta certo a risolvere il gap territoriale, anzi, lo aggrava, perché il peso maggiore delle nuove tasse sarà sulle spalle proprio dei contributori padani. La Lega potrebbe trarre grandi vantaggi in termini di consenso senza fare molto di più che stare seduta (direbbe Brecht) «dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti sono già occupati». Ma sarebbe sbagliato e illusorio accontentarsi del momentaneo consenso che deriva dalla delusione verso una manovra che sembra fatta da uno studente di ragioneria che ha svolto male il tema. La Lega ha oggi l’ambizione e la possibilità di elaborare finalmente, dopo anni di faticose mediazioni e necessarie approssimazioni, una rinnovata strategia nordista e neo-europeista. Una strategia che ritrovi il bandolo della matassa della «questione settentrionale», che oggi presenta profonde novità rispetto al tempo in cui vennero fatte le prime analisi socio-economiche: ad esempio, il suo baricentro geo-economico si sta abbassando verso le regioni del Centro Italia e sta anche mutando di segno: media impresa e città metropolitane. E questa rinnovata fisionomia della «megalopoli padana» (teorizzata da Gianfranco Miglio all’inizio degli anni Novanta) esige una nuova interpretazione scientifica, che consenta alla politica di aggiornare i suoi file e le sue proposte. A vent’anni esatti dalla pubblicazione del fondamentale studio della Fondazione Agnelli (La Padania, una regione italiana in Europa) si sta autonomamente formando per questa finalità un panel di studiosi seri e capaci (novità interessante: non schierati politicamente) con lo scopo, appunto, di aggiornare i dati socioeconomici che fanno delle regioni del Nord un aggregato omogeneo e per formulare risposte adeguate agli scenari di oggi e di domani. In questa grande opera di rinnovamento culturale e politico la Lega deve intensificare il suo rapporto con le comunità territoriali, con i ceti produttivi e gli interessi economici aggregati del grande Nord. Sono quelle comunità territoriali che sognano un’Europa dei popoli contro lo Stato di Stati – il Superstato autoritario, moderno Leviatano di Hobbes – che è espressione dei poteri burocratici, finanziari e tecnocratici. Che è nato in assenza di un potere costituente e non è fondato su un trattato politico, ma solo su intese economiche e commerciali. Un’Europa, questa, che non ci piace, dove la democrazia è affievolita e i popoli sono sempre meno sovrani. Forse, il futuro della Politica sta proprio qui, in una inedita dinamica – indotta dalla crisi economica – tra i processi di globalizzazione e le comunità territoriali. Sicuramente sta qui il futuro della Lega, che rappresenta e tutela gli interessi di quella macroregione all’avanguardia rispetto all’intera Europa che noi chiamiamo Padania.
Roberto Maroni
ex ministro dell’Interno deputato Lega Nord