Il nome sarà «Forza del Sud», l’eco della stagione vincente delle origini di Forza Italia, quando Berlusconi aveva il sole in tasca, e il senso di una rivincita fin troppo attesa della Sicilia, e presto del Mezzogiorno, che non vogliono più pagare il conto dell’asse Pdl-Lega e dello «strapotere» di Tremonti.
Gianfranco Miccichè, l’eretico sottosegretario palermitano che da tempo covava la creatura, ci ha messo un anno e mezzo a decidere: ma ormai il dado è tratto. Sabato prossimo, 30 ottobre, salirà sul palco del teatro Politeama a Palermo per presentare il suo nuovo partito e sciogliere il filo sottile che ormai lo legava al Popolo della libertà.
Sarà una Lega del Sud, e se davvero, dopo quella siciliana, nasceranno altre Forze del Sud anche in Campania, Puglia e Calabria, il contraccolpo sul già traballante equilibrio del Pdl potrebbe essere esiziale. Miccichè lo sa, ma non se ne preoccupa, perché il primo a esserne avvertito, sostiene, è proprio Berlusconi. Nei diciotto mesi trascorsi dal primo annuncio e dal primo convegno di una trentina di parlamentari meridionali – con la ministra Stefania Prestigiacomo, che alla fine resterà col Cavaliere, nel ruolo di donna simbolo del movimento e Antonio Martino in quello di autore del programma – il sottosegretario è stato sottoposto a una continua pressione, mirata a tenerlo a qualsiasi costo dentro i confini del partito. Ma stranamente, non è stato Berlusconi a stringerlo: il compromesso che aveva portato i transfughi siciliani ad accettare di distinguersi solo nel gruppo parlamentare dell’Assemblea regionale siciliana, come Pdl-Sicilia, e non anche nelle Camere, era stato imposto più dallo stato maggiore del partito, compreso Dell’Utri, che su Miccichè ha sempre avuto un forte ascendente, che non dal leader.
Anzi, un Berlusconi insolitamente tollerante, negli stessi giorni, quasi, in cui decideva l’espulsione di Fini dal Pdl, si rivelava molto paziente con il sottosegretario che conosce da sempre, da quando lavorava per lui a Publitalia, e i suoi puntuti seguaci. A chi gli chiedeva di intervenire subito, per stroncare sul nascere la nuova eresia, rispondeva: «Gianfranco lo conosco troppo bene: non farà nulla contro di me». Forse valutava l’irrequietezza di Miccichè – l’uomo che nove anni fa, nel 2001, gli aveva portato in dote lo storico risultato del 61 a zero, la vittoria alle politiche in tutti i collegi dell’isola – alla stregua di un’ubbia temporanea, frutto di imperscrutabili, ai suoi occhi, stati d’animo siciliani e delle rivalità con i nuovi astri palermitani del centrodestra, il presidente del Senato Renato Schifani e il ministro della Giustizia Angelino Alfano. E sotto sotto, magari condivideva alcune delle cose dette dai dissidenti sul degrado del partito. In ogni caso contava sul fatto che il sottosegretario – uno dei pochi ricevuti a casa sua come ospite permanente, con letto, camera e pigiama fresco di bucato riservati per l’accoglienza – non sarebbe mai diventato suo avversario diretto.
Ma ora che la separazione è decisa, e Miccichè ha fissato la data e la liturgia simil-berlusconiana, fin dal nome del nuovo partito, della convention e della sua personale discesa in campo, il Cavaliere deve fare i conti con il problema. Pur partendo da una ristretta pattuglia di parlamentari (nell’Assemblea siciliana sono rimasti in cinque, e altrettanti, più o meno, tra Camera e Senato) Miccichè – che vuole restare all’interno del centrodestra – controlla nell’isola un pacchetto di voti strategici per far scattare, a livello regionale, il premio di maggioranza, indispensabile al Cavaliere per riottenere una maggioranza anche al Senato. Lo stesso meccanismo si ripercuote a tutti i livelli istituzionali nell’isola, e non a caso tiene bloccata da settimane la formazione della nuova giunta al Comune di Palermo.
Pur consapevole che la lunga gestazione del progetto ha reso più difficile la sfida, Miccichè considera questa una sufficiente base di partenza. Anche se la vera riuscita dell’operazione è legata alla nascita di una vera e propria Lega del Sud, una sorta di federazione di tutti i fuorusciti dal Pdl alle soglie dell’implosione. Basta solo guardarsi attorno: se in Campania perfino Mara Carfagna, cioè una delle ministre più vicine a Berlusconi, arriva a dire che occorre fondare un nuovo partito per farla finita con il coordinatore inquisito del Pdl Nicola Cosentino, vuol dire che anche lì qualcosa si sta muovendo. Lo stesso accade in Puglia con l’ex An Adriana Poli Bortone, anche lei in marcia di avvicinamento a Forza del Sud con il suo movimento che, rimasto fuori per un soffio dal centrodestra, avrebbe potuto capovolgere il risultato delle regionali vinte da Vendola. Mentre in Calabria a decidere di muoversi autonomamente dal Pdl potrebbe essere, se non proprio direttamente il governatore Scopelliti, trionfatore alle ultime elezioni amministrative, un gruppo di persone a lui vicine e stanche dell’andazzo del Pdl.
Come accadrà in Sicilia alla fine della prossima settimana, anche la nascita delle altre Forze del Sud, in Campania, Puglia e Calabria, avverrebbe indipendentemente dalla possibile scadenza di elezioni anticipate, pur se è indubbio che un evento del genere finirebbe con il favorire lo scioglimento anticipato delle Camere. Al primo punto, infatti, la nuova Lega meridionale dei fuorusciti dal Pdl metterebbe il riequilibrio dell’attuale maggioranza impostata sull’asse con Bossi, la rinegoziazione della politica economica del governo nei confronti del Mezzogiorno e lo sblocco dei fondi strutturali nazionali ed europei che il governo tiene fermi da anni. La leva per ottenere ciò che finora Berlusconi e Tremonti hanno negato sarebbe la minaccia di formare in Parlamento nuovi gruppi parlamentari autonomi, con cui Palazzo Chigi dovrebbe negoziare separatamente, né più né meno di come sta facendo con Fini. Con la conseguenza, intuibile, di un’accelerazione dell’instabilità di cui il governo soffre già adesso. E la possibilità che il movimento centrifugo, dal Pdl, si estenda anche al Pd, o almeno alle sue inquiete frange centriste postdemocristiane, che non potrebbero restare indifferenti a una riarticolazione territoriale dei confini politici nel Centro-Sud, cioè nell’area dove sono più presenti e dove si gioca per davvero lo spostamento del baricentro politico dell’intero Paese.
Questo spiega perché la nascita, ormai annunciata, di Forza del Sud sia già inserita all’ordine del giorno dei vertici del Pdl, tra i problemi più urgenti. Se Berlusconi rifiuta di parlarne, e come sempre nei momenti difficili ne fa una questione personale – il tradimento di un giovane a cui ha voluto bene come a un figlio e ha dato tutto, da imprenditore e da leader -, gli stati maggiori del Popolo della libertà sono impegnati a valutare quanto possano pesare la mini-scissione siciliana e l’eventuale clonazione di Forza del Sud nelle altre regioni. Circola un dato, provvisorio, che vale quel che vale: sarebbero quaranta alla Camera, e una ventina al Senato, al netto degli altri trenta comunque contrari alle elezioni, i parlamentari del Sud pronti a distinguersi. Basta e assoverchia per mettere nuovamente con le spalle al muro il governo, appena uscito da un voto di fiducia.